I test prenatali non invasivi hanno lo scopo di eseguire uno screening sullo stato di salute del feto, nello specifico indagando le anomalie cromosomiche più comuni, nell’assoluta sicurezza per mamma e nascituro.

La diagnosi prenatale sino a qualche anno fa era possibile solo mediante il prelievo di DNA dal feto tramite amniocentesi o villocentesi, due esami invasivi che possono comportare rischi sia per la donna che per il feto.

L’analisi del liquido amniotico o dei villi coriali restano ancora oggi gli unici metodi per ottenere una diagnosi clinica  certa delle anomalie cromosomiche ma a questi sistemi invasivi, grazie ai sempre più avanzati sistemi di indagini genetiche, si sono affiancati oggi dei metodi di screening assolutamente privi di effetti collaterali: i test prenatali non invasivi (NIPT).

Perché si definiscono test prenatali non invasivi?

Il test prenatale non invasivo consiste in un unico prelievo di sangue della mamma che esamina il DNA libero fetale nel sangue materno per determinare il rischio che il nascituro presenti la sindrome di Down (Trisomia 21), la sindrome di Edwards (Trisomia 18), la sindrome di Patau (Trisomia 13) o la sindrome di Turner (legata al cromosoma sessuale X).

Nel 2015 il Ministero della Salute ha stilato un testo che predispone le “Linee guida per lo screening prenatale non invasivo basato sul DNA”.
Il documento, redatto con la supervisione del Consiglio Superiore di Sanità, procede alla definizione dei test prenatali non invasivi e delle loro peculiarità: “Lo screening prenatale non invasivo non è un test diagnostico. Il test verifica la possibilità che il feto sia affetto dalle più comuni aneuploidie. I NIPT definiscono, su base probabilistica, la presenza nel feto di una specifica patologia indagata”.

E’ dunque doveroso sottolineare che il test prenatale non invasivo non fornisce diagnosi. Tuttavia rappresenta oggi il sistema più sicuro e preciso per eseguire uno screening non invasivo durante la gravidanza.

Quando e perché eseguire un test prenatale non invasivo?

Qualunque donna che abbia a cuore la salute del proprio figlio può eseguire un test prenatale non invasivo.
Nel caso in cui la donna, dopo aver effettuato indagini ormonali ed ecografiche, presenti specifici fattori di rischio, il test prenatale non invasivo è altamente suggerito per escludere la presenza di alterazioni cromosomiche nel feto.

Il test prenatale non invasivo è suggerito anche a tutte le donne in gravidanza in età avanzata, nei casi di poliabortività e nel caso di gravidanze ottenute con tecniche di fecondazione assistita.

Il test prenatale non invasivo si può effettuare già a partire dalla decima settimana di gravidanza, meglio ancora se dall’undicesima, abbinandolo all’ecografia del primo trimestre.

Quale test prenatale non invasivo scegliere?

In commercio sono presenti numerosi test prenatali non invasivi. Tra i più diffusi troviamo: GeneSafe, Prenatal Safe, Harmony Prenatal Test e molti altri.

Per il mio studio ho scelto VeriSeq NIPT. Questo test è validato per uso diagnostico in vitro (CE-IVD) ed utilizza il più avanzato sistema di analisi del DNA di nuova generazione di Illumina. Gli esiti sono disponibili in pochi giorni (di norma 15 dopo il prelievo), è assolutamente privo di rischi sia per la mamma che per il bambino ed è stato validato in studi clinici su decine di migliaia di donne gravide.

Come per tutti i test prenatali non invasivi se VeriSeq NIPT dovesse rilevare delle anomalie cromosomiche è necessario procedere a confermare la diagnosi con sistemi diagnostici ulteriori.

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